Read hair dreams

Un altro sogno particolare: sono in moto (ovvio) sulla salita che porta al centro di San Daniele del Friuli. Stranamente cavalco una moto non mia, una piuttosto anonima Moto Guzzi T5 850 grigio-verde. Arrivo al culmine nei pressi della piazza del duomo e comincio la discesa ma, sulla sinistra, intravedo una strana concentrazione di ragazzi e ragazze fulvo-criniti, assolutamente anomala.

Ce ne sono addirittura con capelli riccioluti fino al fondo schiena e la cosa mi incuriosisce. Una sembra proprio Nicole Kidman. Mi fermo, inverto la marcia e risalgo fino ad affiancarmi a questo allegro gruppo di gente dai capelli rossi. Stendo la stampella, parcheggio la moto, scendo e, al primo giovanotto che incontro, chiedo ironicamente se si tratta del raduno mondiale dei capelli rossi.

Tutti si girano (ho ancora il casco addosso) e mi confermano che è proprio così. Allora tolgo il casco e, sfoderando una riccioluta criniera fiammeggiante (beati i sogni) mi unisco gioiosamente alla combriccola suggerendo di andare a festeggiare presso la vicina osteria “Al Teatro” che tanto mi è cara.

Scendendo di quei pochi passi chiedo alla ragazza che più mi è vicina come mai il raduno si fa a San Daniele e non in Sicilia (a Favignana) come di solito; lei si gira e risponde: “Si fa qui e là, vieni?”.

Non mi resta che proporre qualche scatto del raduno mondiale in Sicilia di qualche anno fa…

Una perla rara

Alla TV vedo sport e qualche film. Ogni tanto mi capita di soffermarmi su documentari, spesso interessanti. I documentari moderni non sono noiosi come quelli dei primi tempi della TV, anzi! Spesso si tratta di lavori incantevoli anche se, alle volte, troppo edulcorati. Altro non vedo se non, a ora di cena, il telegiornale regionale, ma non troppo spesso. Capita però che sul medesimo canale, poco dopo, appaia una trasmissione che mi piace da matti, si chiama: “Via dei matti”… appunto.

A me pare una vera perla nel resto dei palinsesti televisivi e resto incantato e stupito dalla bravura del conduttore: Stefano Bollani, che poi sarebbe un jazzista, ma lo si sente divagare sui generi musicali più diversi con una maestria e una eleganza mirabili. Anche la compagna è brava e contribuisce alla leggerezza della trasmissione, ma senza Bollani non sarebbe niente.

Ce ne fossero alla TV trasmissioni così!

Sognando e risognando

Dato che l’attualità è disarmante che di viaggiare in moto non se ne parla causa scarsa salute, meglio rifugiarsi nella poesia e nei sogni. A proposito: dopo mesi di incubi e sogni funebri, squallidi e angosciosi, ieri sera ne ho fatto uno bello. Mi trovo in viaggio in qualche paese dell’Asia centrale e, vedi mai, ho qualche problema meccanico con la moto; nel sogno non si sa di quale moto si tratta.

In un villaggio sperduto tra colline e aride pietraie, trovo un tizio al quale chiedo aiuto e, in attesa di risolvere il problema, mi ritrovo a visitare una casupola nelle vicinanze occupata da due persone di incerta età, ma non giovani, dall’aspetto più caucasico che asiatico, intente a desinare. Sono sedute a un piccolo tavolo di legno grezzo accanto a una finestra con tendina a quadretti bianchi e rossi, molto lisa. Mi offrono qualcosa da mangiare e cominciamo a parlare dato che entrambi se la cavano in inglese.

La moglie veste proprio come una zingara mentre, quello che suppongo sia il marito, più sobriamente. Si parla della loro Terra e dell’Italia, paese da cui provengo e verso il quale nutrono un distaccato interesse. Tra un discorso e l’altro gli spiego che in Italia due persone come loro avrebbero difficoltà a trovare un alloggio in affitto, dato che sarebbero considerati alla stregua di zingari, appunto. I proprietari tendono a favorire l’accesso agli italiani piuttosto che agli stranieri se, perdipiù, di tale aspetto.

I due continuano a mangiare sorridendo dimostrando di comprendere le mie parole, ma senza scomporsi più di tanto. Mi offrono anche da bere invitandomi a restare in loro compagnia in attesa della moto. Gli racconto delle mie esperienze in moto in giro per il mondo spiegando che solitamente viaggio in compagnia di amici e che sarebbe bello che qualcuno di loro fosse qui adesso. Come per incanto ecco che entra Roby El gue e si unisce a noi chiacchierando animatamente e allegramente come suo solito. Bellissimo!

Una storia e un ricordo

Oggi cade l’anniversario della scomparsa di un caro amico: Pietro. Già passati tredici anni. Correvamo assieme da ragazzini con la squadra del Ceresetto e poi, in seguito, tra i cicloamatori, ma con squadre diverse. Anche se lui era più grandicello, abbiamo condiviso tantissimo della nostra gioventù, non solo le corse ciclistiche, ma anche i festini in casa la domenica pomeriggio, le scampagnate in bici con le ragazzine del paese… cresciuti e poi diventati adulti fianco a fianco.

Nel 1977 correvo poco in bici preso da mille altri interessi, a cominciare dalle trasmissioni alla radio. Era anche l’anno della maturità e non potevo certo permettermi di mancare l’appuntamento col “pezzo di carta”. Insomma ho cominciato a fare qualche gara in tarda primavera, ma con pochissimo allenamento arrivando, se andava bene, in fondo al gruppo. Pietro invece già lavorava e aveva la morosa fissa. Possedeva anche una dignitosa FIAT 850 col davanzale in vista dietro il sedile posteriore sul quale, di solito, si metteva un cagnolino dalla testa ondeggiante.

Eravamo ormai a fine giugno, io ero preso anche dalle prove scritte della maturità e continuavo a correre senza allenarmi granché, ma avevo mestiere e le corse servivano a darmi comunque un buon colpo di pedale. Lui, invece, poteva allenarsi con costanza e alle gare era sempre coi primi, spesso piazzato, ma anche condizionato dal fatto che aveva in squadra altra gente forte e comunque non era ancora riuscito a primeggiare per porgere alla morosa i fiori del vincitore. Un gesto, quasi una consuetudine, allora molto sentito.

Quasi ogni domenica era seguito alle corse dalla fidanzata e dalla famiglia di lei che lo adoravano. Era davvero un bravo ragazzo, oltre che alto, atletico e ben fatto. Purtroppo era forse troppo buono e, in gara, perdeva spesso mancando di sana cattiveria agonistica, oltre che della necessaria astuzia e senso tattico.

Era di sabato pomeriggio e lui passò a prendermi con la 850 – io ero senza macchina – per andare assieme a correre in un paese vicino: Carpeneto – G.P. Corubolo. Si trattava di una gara piuttosto lunga e faceva un caldo infernale. Pietro, un ottimo passista-veloce, correva con la Società Peugeot Autopalma del compianto Mario Gregorone, un grande appassionato; era la squadra che andava per la maggiore e farne parte era già distintivo. Io con il Laipacco, una squadretta di paese con pochissime pretese (come io preferivo) e gareggiavo spesso da solo. Grandi amici fuori, ma in gara eravamo avversari punto.

Strada facendo ci fermammo a salutare la fidanzata a Bressa e, quello che poi divenne suo suocero, con l’ottimismo derivante dai recenti ottimi piazzamenti e dal credito che godeva nell’ambiente, gli pronosticò una facile vittoria. Io non venni nemmeno considerato: quell’anno non avevo ancora ottenuto risultati anche perché non mi interessava il piazzamento. Se nel finale di corsa non c’era più la possibilità di vincere, desistevo e mi disinteressavo. Passavo per un perdente, insignificante per chi non sapeva di ciclismo e poi non avevo nemmeno la macchina…

Pietro, invece, non era così: lui cercava sempre di ottenere il meglio possibile anche per giustificare, con il premio conseguente, l’impegnativa attività sportiva. Era una reminiscenza giovanile di quando la sua famiglia, dal pensare antiquato, mal giudicava la perdita di tempo a correre in bici, occupazione tollerata a malapena proprio grazie a quei premi che, non di rado, otteneva piazzandosi tra i primi. Però, anche se nelle corse precedenti non avevo ancora ottenuto risultati, io sentivo che la gamba c’era, eccome! Quella che mancava, semmai, era la fidanzata.

Tralascio le fasi della corsa che pur meriterebbe un bel racconto data la particolarità del suo evolversi e passo alla fine: io e Pietro arrivammo in coppia dopo una lunghissima fuga a due (i primi inseguitori giunsero a quattro minuti…) vinsi io battendolo in volata contro ogni pronostico e ogni logica. Dopo aver legato le bici sul tetto, piazzai il mazzo di fiori del vincitore sul davanzale posteriore della 850 prima di tornare a casa. Era non solo la prima vittoria dell’anno, ma addirittura la prima volta che entravo in un ordine d’arrivo!

Pietro nemmeno parlava tanto era affranto a causa della inaspettata sconfitta e, va ammesso, nella fuga lui tirò senz’altro più di me anche se non saltai mai un cambio. Avrebbe potuto battermi facilmente approfittando della sua maggior forza ma, evidentemente, influirono anche l’aspetto psicologico, il dovere di vincere e la paura di perdere…

Probabilmente lui contava sul fatto che non avrei retto fino alla fine e che mi sarei arreso ben prima. Per inciso: corremmo gli 84 chilometri della gara in due ore nette a 42/km. all’ora di media con le bici e l’abbigliamento di allora… Acqua e zucchero nella borraccia e una pera nelle tasche posteriori!

Per me era la prima occasione dell’anno e non potevo lasciarmela sfuggire. Se capitasse oggi, a distanza di cinquant’anni, farei lo stesso; quello che invece non farei più, accadde dopo: tornando a casa – musi lunghi in auto e colpevole silenzio tra di noi – Pietro non poteva esimersi dal fermarsi a Bressa, come aveva promesso, e così si fece.

Entrammo in cortile e parcheggiò la 850 sotto al bersò dell’uva col posteriore verso la casa e il lunotto in bella vista col mazzo di fiori steso di traverso. La fidanzata e il suocero uscirono subito, non appena sentito il rumore dell’auto e figurarsi i sorrisi e le felicitazioni alla vista del mazzo di fiori… solo che non era suo, era mio.

Una delusione e un imbarazzo così profondo e assoluto non me lo ricordo per il resto della vita. Se potessi tornare indietro gli lascerei quel mazzo di fiori con tutto il cuore.

La miserella foto di quella volata a Carpeneto
E un articoletto dal M.V.

L’epoca dell’apparire (e dell’ipocrisia)

Viviamo l’epoca dell’apparire (e dell’ipocrisia). Ho vissuto l’epoca della contestazione, l’epoca dell’impegno, quella dell’edonismo… si può dire che la stagione dell’ipocrisia sia germogliata con l’arrivo di “mani pulite”. Ma quali mani pulite!

L’avvento dei social network poi, ha fatto il resto deviando – di poco – sul fenomeno dell’apparire. I due mostri comunque vanno a braccetto, degno sostegno l’uno dell’altro su un sentiero parallelo. Noto atteggiamenti ipocriti ad ogni livello, sia nei rapporti interpersonali che, soprattutto, nella politica: la subdola commedia del reddito di cittadinanza che avrebbe dovuto favorire la ricerca del lavoro è solo la punta dell’iceberg.

Anche il mondo del giornalismo – tranne qualche eccezione – ne è permeato. Vedo derive ipocrite perfino nello sport che continuo peraltro a seguire con passione (la finzione dell’antidoping ne è la cartina al tornasole) e nel mondo dello spettacolo (peggio della TV solo i social). Si arriva a fare i pagliacci in televisione (l’apparire) pur di vendere libri insulsi, e ci si riesce, purtroppo.

La Religione (non solo il Cristianesimo) ne esce con le ossa rotte. Andiamo in Chiesa la domenica (pochi ormai) ma niente facciamo per il vicino di casa malato e bisognoso. Il vecchio genitore, che tanto ci ha dato, lo emarginiamo nell’esilio della “Quiete”… ma che bel nome!

Aiutati, anzi, spronati dai social, preferiamo l’apparenza rispetto alla realtà. La gente di oggi preferisce ciò che sembra sostituendolo a ciò che è.

Buine domenie

Aspiranti ex campioni

Oggi propongo le foto della reunion degli “aspiranti ex campioni” pedalatori: una allegra combriccola che si trova ogni tanto per una breve pedalata e una solenne mangiata ricordando gli episodi delle corse ciclistiche. Dalle foto non parrebbe che una volta fossero ciclisti forti e vincenti, eppure… D’altronde sono passati cinquant’anni!

Durante il simposio seguito alla pedalata fioccano i ricordi e i racconti. Come sempre avviene, ognuno la racconta a modo suo: è incredibile come le medesime vicende vissute a stretto contatto siano in realtà viste diversamente – molto diversamente – dai protagonisti. Influisce lo stato d’animo, la diversa cultura e formazione familiare, gli interessi e le aspirazioni, soprattutto le rispettive capacità: quello forte, ad esempio, da poca importanza a situazioni di gara alle quali, quello scarso, attribuisce grande valore e significato.

Ho notato poi che col passare degli anni si idealizzano certe vicende fino a stravolgerle rispetto alla semplice realtà e ciò avviene in buona fede, senza intenti furbi o interessati; è proprio allora che il confronto con gli amici di strada riporta i fatti all’origine, al vero, anche se – a volte – il vero fa male.